Dicevano il John Wick Coreano

Sulla scia di franchise d’azione iper-stilizzati come John Wick, dove il combattimento diventa coreografia, Mercy for None irrompe su Netflix come un tubo d’acciaio nello sterno. Questa saga di vendetta sudcoreana rinuncia al glamour per abbracciare la brutalità vecchia scuola, richiamando la ferocia claustrofobica di The Raid e la stanchezza fisica e mentale della leggendaria scena del corridoio in Oldboy.

Combattere come se facesse davvero male

Alla base di Mercy for None c’è una storia antica quanto il sangue: un uomo torna nel mondo criminale che aveva abbandonato per vendicare l’omicidio del fratello. Ma se la trama è familiare, l’esecuzione non lo è affatto. Qui non si parla di stile. Si parla di sopravvivenza.

Gi-jun vs Satu gang in Mercy for None

Ogni combattimento in Mercy for None sembra girato con nocche spezzate. I colpi non rimbalzano, atterrano. E fanno male. Niente fili invisibili, niente acrobazie al rallentatore. La serie adotta invece un’intensità sporca, a camera a mano, che ricorda The Raid, dove ogni pugno suona come osso contro cemento bagnato, e l’inerzia cambia con una violenza spaventosa.

Come Oldboy prima di lei, la serie sa che gli spazi stretti generano disperazione. Corridoi, trombe delle scale e vicoli diventano arene di punizione, dove il protagonista Nam Gi-jun (interpretato con cupa intensità da So Ji-sub) distribuisce giustizia con una mazza da baseball malridotta e la freddezza di chi non ha più nulla da perdere.

Gi-jun vs 40 guys in Mercy for None

Il peso della violenza

La performance di So Ji-sub è centrale per l’impatto della serie. Le sue ferite, fisiche ed emotive, non si raccontano nei dialoghi, ma nel modo in cui zoppica prima di combattere o ansima tra un pugno e l’altro. I combattimenti non sono solo fisici: sono psicologici. Come Oh Dae-su in Oldboy, Gi-jun combatte con il trauma, non solo con i pugni. È stanco. Ferito. Ma inarrestabile.

C’è una scena, a metà serie, ambientata in un corridoio stretto e illuminato a intermittenza, che sembra un omaggio spirituale al piano sequenza di Oldboy. Ma se quel film era quasi una danza, Mercy for None è spigoloso, caotico, quasi brutto. E questo è il punto. La violenza qui non è mai bella, è personale.

Gi-jun vs a gang in Mercy for None

Un altro tipo di dramma d’azione

Proprio come The Raid, la serie privilegia l’impatto sulla trama. La storia — pur funzionale — serve soprattutto da cornice per una serie di scontri sempre più intensi e una discesa morale inarrestabile. I dialoghi sono minimi. Le armi da fuoco rare. Al loro posto: armi improvvisate, corpo a corpo ravvicinato e pura forza bruta.

Il montaggio evita i tagli vistosi. Indugia su nasi rotti, mani tremanti e il silenzio dopo un corpo che cade a terra. C’è tensione nell’attesa, e sfinimento nella fine. Pochi show ti fanno sentire la fatica della vendetta come questo.

Gi-jun vs Tae Hwan in Mercy for None

Una lettera d’amore al cinema che fa male

Mercy for None non è per tutti. È cupa, spietata e spesso emotivamente glaciale. Ma per chi ama l’azione realistica, per chi riguarda The Raid per studiare il gioco di gambe, o ancora sussulta al martello di Oldboy, questa serie è imperdibile.